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Mafia, Enzo Miucci come suo zio Ciccillo: “È un padre eterno, un dio. Con lui non si scherza”

Mafia, Enzo Miucci come suo zio Ciccillo: “È un padre eterno, un dio. Con lui non si scherza”

Enzo Miucci è un dio, un padre eterno. Con lui non si scherza”. Sono parole pesanti quelle usate dal pentito viestano Giuseppe Della Malva, che davanti alla Direzione Distrettuale Antimafia – come riportato da gazzetta del mezzogiorno – ha tratteggiato il profilo criminale di Enzino Miucci, 42 anni, originario di Monte Sant’Angelo, soprannominato “U’ Criatur”. Non un soprannome scelto dal clan, ma affibbiatogli dai giornali. Per gli uomini d’onore, lui è Renzino, boss temuto e rispettato, considerato oggi il vertice operativo e carismatico del clan Li Bergolis-Miucci-Lombardone, erede diretto dello storico gruppo dei “montanari”.

L’espressione “padre eterno” spuntò anche nelle carte dell’operazione “Gargano” sulla guerra tra Li Bergolis e Primosa, in quel caso si parlava del boss dei boss, Ciccillo Li Bergolis, zio di Miucci, poi ucciso nel 2009 da killer ignoti. Francesco detto “Ciccillo” Li Bergolis è l’uomo da cui tutto ebbe inizio, patriarca del clan, con una storia malavitosa iniziata negli anni ’60 e conclusasi con la sua morte in una masseria di Monte Sant’Angelo, giustiziato con un colpo d’arma da fuoco in faccia mentre era intento a riparare un’auto.

Un’infanzia segnata dal sangue

La sua ascesa criminale affonda le radici nella faida storica tra i Li Bergolis e i Primosa-Alfieri, 35 morti tra il 1978 e il 2010. A soli 9 anni, Enzino perse il padre Antonio Miucci, assassinato in pieno giorno da un killer mascherato durante il Ferragosto del 1993. Pochi mesi prima, a cadere sotto i colpi della lupara era stato anche lo zio Matteo Miucci. Una guerra tra clan che ha martoriato Monte Sant’Angelo per decenni, lasciando una lunga scia di delitti irrisolti. Alla fine la spuntarono i Li Bergolis mentre i Primosa vennero praticamente azzerati, raggiunti e uccisi persino al Nord Italia dove provarono a rifugiarsi.

Omicidio di Francesco Li Bergolis detto Ciccillo
Braccio destro di Franco Li Bergolis

Nel maxi-processo alla mafia garganica che, tra il 2004 e il 2010, smantellò le storiche leadership dei montanari, Enzo Miucci fu assolto. Ma nel frattempo aveva già assunto un ruolo di primo piano: fu il guardaspalle fidato di Franco Li Bergolis, boss latitante per oltre un anno. La sua protezione, secondo le indagini, fu garantita dalla “Società Foggiana”. Miucci venne condannato a 5 anni nel processo “Blauer” ai fiancheggiatori, ma era ormai pronto a scalare il comando.

Il comando del clan

Con la cattura e le condanne dei cugini Franco (ergastolo), Armando e Matteo Li Bergolis (circa 27 anni a testa), Miucci prese in mano le redini del clan. A scriverlo fu la Dda già nel 2012, in occasione del blitz Rinascimento che lo colpì per estorsione e usura: “La sua leadership – si legge nella nota stampa dell’epoca – Miucci l’ha conquistata con una vita al fianco del boss Li Bergolis, che lo ha praticamente adottato sin da bambino”.

Nel 2016 fu arrestato con Matteo Pettinicchio, oggi pentito, mentre rientrava in Puglia con tre pistole nascoste nell’auto. Nel 2017, nelle ore successive alla strage di mafia di San Marco in Lamis, fu tra i primi sospettati. Nessuna prova concreta, ma il suo nome resta un riferimento costante nelle indagini.

L’accusa: ha sparato al boss rivale

A segnare uno spartiacque è proprio il racconto dell’ex luogotenente Pettinicchio, che ha rotto il silenzio nel gennaio scorso. Lo accusa di essere tra i killer della strage del 9 agosto 2017, quando fu eliminato il boss rivale Mario Luciano Romito: “Gli ha sparato in testa mentre era ancora vivo, deridendolo: ‘Scappa mo’ Mario Romì’”. In realtà, stando alle perizie, non risulta esserci stato il colpo di grazia.

La strage fu l’apice di una guerra interna all’ex cartello tra montanari e manfredoniani che ha provocato 21 morti e 36 episodi di sangue in meno di vent’anni. Secondo i pentiti, Miucci avrebbe voluto cancellare ogni legame con il gruppo di Mario Luciano Romito e imporsi come unico dominus del traffico di droga sul Gargano.

Il traffico internazionale e il “punto” sugli sbarchi

È detenuto dal 20 novembre 2019, coinvolto nel maxi-blitz Friends che lo vede imputato per traffico di droga nel processo ancora in corso a Foggia. La Dda lo ritiene fornitore di cocaina anche per ambienti calabresi. Non solo: secondo le dichiarazioni dei collaboratori, Enzino avrebbe percepito una percentuale (“il punto”) su ogni carico di marijuana proveniente dall’Albania e sbarcato sulle coste garganiche. Un business multimilionario narrato anche da un altro pentito, Gianluigi Troiano: “Facemmo uno sbarco con uno yacht di amici di Miucci ed un gommone di amici di Quitadamo. Nello yacht c’erano 3mila chili e mille sul gommone. Lo sbarco è avvenuto in una zona di Peschici. I mille chili li abbiamo scaricati io e Piergiorgio e li abbiamo trasportati per mezzo di un furgone in un casolare di Peschici”.

“Mari e Monti”: anche dal carcere continuava a comandare

Il suo nome è anche tra i principali indagati nell’operazione “Mari e Monti“, 41 arresti notificati lo scorso ottobre e 50 indagati, compreso il fratello maggiore Dino. Renzino Miucci è accusato di mafia, traffico di droga, estorsione e rapina. Gli inquirenti sostengono che abbia continuato a esercitare la sua leadership anche dal carcere, attraverso telefoni cellulari a lui disponibili.

Ha diretto il sodalizio, assumendo le decisioni più rilevanti sul piano strategico”, si legge negli atti. Al suo fianco, sempre secondo la Dda, Matteo Pettinicchio, il quale avrebbe garantito “piena e costante disponibilità” al boss, fino al tradimento che ha aperto nuove e pesantissime piste giudiziarie.

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